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Divisi si vince? L'inverno freddo del sindacato

di Orazio Carabini

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9 gennaio 2009

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Eppure la Cgil ha firmato, insieme agli altri, già cinque contratti di settore tra cui uno "pesante" come quello della chimica e farmaceutica (circa 200mila lavoratori e 1.300 imprese). «È un fatto abbastanza stravagante – osserva Giuliano Cazzola, deputato pdl e attento osservatore delle vicende sindacali – Sembrava difficile firmare i contratti con il clima di divisione che si era creato. E invece stanno firmando tutti, anche partendo da piattaforme diverse. C'è un'incredibile stagione di concordia negoziale. Si trovano soluzioni diplomatiche che mettono d'accordo tutti. Con l'eccezione dei meccanici della Fiom».

«Alla fine la gente guarda al sodo – dice Angeletti – per questo molte categorie della Cgil firmano i contratti. Ma c'è anche un dato strutturale di cui tenere conto: sono venute meno le ragioni tecnologiche dell'antagonismo. Oggi contano la qualità, le conoscenze. E la sopravvivenza dell'impresa è un problema anche di chi ci lavora dentro. Ecco perché non c'è conflitto nonostante la crisi del manifatturiero». Anche Bonanni non ha dubbi: «I nuovi contratti portano più soldi ai lavoratori rispetto alla tornata precedente, senza contare che sono stati chiusi sei mesi prima della scadenza naturale. Inoltre le modalità di recupero dell'inflazione sono più protettive. Infine la contrattazione di secondo livello potrà beneficiare della detassazione». Il segretario della Cisl racconta di aver partecipato a numerose assemblee di industriali in giro per l'Italia e di aver avvertito che il sindacato è percepito come un alleato, molto più del governo e soprattutto delle banche. «È uno schema nuovo – continua Bonanni – perché in tutte le scelte che contano imprese e sindacati sono uniti. E così il potere delle parti sociali aumenta».

Non solo. Questo nuovo "clima" spiegherebbe anche, almeno in parte, la "mano leggera" che le imprese hanno avuto nella gestione delle ristrutturazioni durante la crisi: a perdere il posto sono stati soprattutto i precari mentre la disoccupazione tra i lavoratori a tempo indeterminato non è esplosa. Con evidenti benefici per la tenuta del tessuto sociale.

«È cambiato il mood delle relazioni industriali – sintetizza il ministro del Welfare Maurizio Sacconi – con il deflazionamento della contrattazione nazionale, con la detassazione del salario variabile i contratti si firmano, e ce n'era bisogno. Non è un caso che solo la Fiom si opponga».
Ma perché anche la Cgil firma i contratti? Non è una contraddizione che prima rifiuti l'accordo con la Confindustria e poi accetti di fatto il nuovo modello contrattuale? «Se si vogliono fare i contratti con la Cgil - risponde Epifani - quei contratti devono soddisfare le condizioni poste dalla Cgil. Ma non possono chiederci di firmare un accordo-quadro che prevede il recupero dell'inflazione al netto di quella importata».

Quanto può durare questa divisione? È ipotizzabile un riavvicinamento nei prossimi mesi? «Mi sembra – risponde Epifani – che siano gli altri a fuggire. Si adagiano in una comoda posizione di rapporto privilegiato che non dà risultati né sul fisco né sugli ammortizzatori sociali, tanto per fare due esempi importanti. Cisl e Uil non hanno nulla da dire se il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta convoca tutti meno la Cgil. E non ci stanno a sentire quando diciamo che bisogna votare i contratti o che dobbiamo valutarne i contenuti con misurazioni vere».
«Una ricomposizione? Non la vedo facile» commenta Treu, secondo il quale la Cgil rimane un sindacato «troppo conservatore» e la Cisl, «che peraltro va nella giusta direzione», è prigioniera della sua alleanza con il governo, «che certo non è pro labor».

A voler essere cinici sembra quasi che siano tutti contenti così. La Cgil che soddisfa il suo bisogno di antagonismo e manifesta concretamente la sua alleanza con l'opposizione. La Cisl e la Uil che, divise dalla Cgil, fanno sindacato in modo diverso, trattano con il governo da una posizione di privilegio, traendone dei benefici. La Ugl di Renata Polverini che, finora confinata in una sterile emarginazione, ha finalmente trovato la sua legittimazione. Il governo e la Confindustria che, avendo una controparte divisa, incontrano meno difficoltà a chiudere accordi.

Il solo fattore in grado di modificare lo scenario sembra essere la politica: se passasse, nel Pdl e nel Pd, la linea della collaborazione sulle riforme, anche il mondo del lavoro potrebbe risentire del nuovo clima bipartisan. E si aprirebbero spazi enormi per il confronto a cominciare dall'annunciato Statuto dei lavori che porterebbe con sé una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali. A quel punto il dialogo con la Cgil sarebbe per forza riavviato. Con grande soddisfazione del Partito democratico dove la divisione tra Cgil e Cisl sta creando serie difficoltà tra le varie "anime" del partito.

Al momento però la frattura è profonda. «La Cgil è lontana – dice Angeletti –. La nostra posizione è chiara: il sindacato deve affrontare la realtà, raggiungere intese. Posso anche capire, ma non condivido, che la Cgil voglia contrapporsi al centro-destra e quindi non voglia fare accordi con il governo. Ma non capisco perché non si debbano fare accordi con le controparti. Che cosa c'entrano gli artigiani con il governo? Non c'è più tempo per aspettare: dobbiamo fare le riforme, con o senza la Cgil. E dobbiamo farle superando l'idea dell'ugualitarismo perché la crescita richiede delle differenze: il nostro compito è quello di governarle per renderle socialmente accettabili».

  CONTINUA ...»

9 gennaio 2009
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